Benvenuta Miss Miller

Il retroscena di “Ademollo”
21 Luglio 2015
Preziosa e misteriosa
23 Settembre 2015
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A 48541

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Sconosciuto al pubblico fino a oggi, questo bronzo, opera del romagnolo Domenico Rambelli (1886-1972), è finalmente visibile agli amatori e cultori della sua arte alla Galleria Baroni, dopo essere rimasto custodito gelosamente dal suo autore prima e conservato poi nelle raccolte degli eredi. Rambelli, ceramista, pittore, scultore faentino, dopo gli studi alla Scuola di Arti e Mestieri della sua città, segue l’amico Domenico Baccarini a Firenze, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti. Aderirà all’innovativo cenacolo baccariniano assieme ad altri giovani artisti romagnoli, fra cui Ercole Drei, Giovanni Guerrini, Francesco Nonni, Pietro Melandri, Riccardo Gatti, Giuseppe Ugonia, Odoardo Neri, Orazio Toschi. Nel 1905 esordisce a Roma e poi espone alla Biennale di Venezia, per poi trasferirsi a Parigi. Fa parte del movimento artistico “Valori Plastici” e partecipa alla corrente “Novecento”. E’ considerato fra i principali scultori pubblici degli Anni Venti con i monumenti di Viareggio, Lugo e Brisighella.

Miss Miller è un’opera affascinante, enigmatica rappresentativa del “primitivo” che caratterizza lo stile dell’artista nei suoi busti bronzei, come il busto “Fanciullona”, il nudo femminile acefalo, la popolana che canta (o “Il Canto”), tutti appartenenti a collezioni pubbliche. Salta all’occhio, come “firma” rambelliana, lo stravolgimento delle forme corporee che alterano le proporzioni dell’anatomia, dilatando e “gonfiando” i lineamenti, così come, nelle opere a figura intera, la dimensione della testa rispetto al tronco, il tronco rispetto al corpo, creando una nuova espressività della figura umana nello spazio. Il busto di Miss Miller Rambelli lo eseguì nel 1926 e non se ne distaccò mai, tenendolo con sé fino alla fine dei suoi giorni. Esso può rappresentare nell’insieme della sua produzione una specie di feticcio o di opera di grande affezione che ha accompagnato sempre l’artista. Alla sua morte è passato agli eredi Zingaro, rimanendo fino ai giorni nostri di loro proprietà. Quando ho saputo della disponibilità dell’opera, ho ritenuto che fosse quasi un obbligo da parte mia, per la mia storia e la mia dichiarata “romagnolità”, venirne in possesso per salvaguardare la sua permanenza in questo contesto. Essa infatti rappresenta a mio parere un punto di riferimento della produzione artistica di Domenico Rambelli.

La mia passione per questo artista, assieme a quella per gli altri romagnoli, risale alla mia infanzia, quando ne potevo ammirare le opere pubbliche durante le mi trasferte al seguito di mio padre o di mio nonno nel territorio di Romagna. Tre sono i monumenti pubblici di Rambelli: il monumento ai caduti di Viareggio, inaugurato nel 1927; il “Fante che dorme” di Brisighella del 1928 e quello dedicato all’eroe dell’aviazione della prima guerra mondiale, Francesco Baracca, che si trova a Lugo di Romagna, inaugurato nel 1936. Se nei primi due Rambelli è riuscito a reinterpretare con modernità forme primitive e arcaiche, nel terzo giunge a un’originale sintesi tra simbolismo e naturalismo, trascendendoli in un’atmosfera metafisica.

Una produzione esigua rispetto a quella degli altri artisti romagnoli, la sua, ma di portata europea. A mio parere è un peccato che oggigiorno, guardando alla sua opera artistica, non sorga una riflessione sul fatto che un artista tanto affascinante e moderno non abbia prodotto la quantità di opere scultoree dei suoi contemporanei italiani. Solo nell’ambito del disegno ci ha lasciato innumerevoli esemplari di fanciulli, figure femminili, nudi, nei quali vediamo quelle forme primitive e arcaiche che ne fanno la sua cifra stilistica. Il motivo della “scarsità” scultorea lo spiega l’artista stesso, in un testo inedito del 1950: “Lo so che le esposizioni fanno girare il nome e procurano lavoro, ma quando si ha più inclinazione a disprezzare che amare il denaro queste cose perdono di importanza.”

Sergio Baroni