Una scuderia fatta “ad arte”, cavalli da presepe

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25 Gennaio 2014
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20 Marzo 2014
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entrata cavalliCollezionisti e amanti di oggetti d’arte particolari, rari e decisamente fuori dall’ordinario potranno apprezzare questa “scuderia” di cavalli da presepe. Raccolti oltre quindici anni fa, formano un gruppo di 14 elementi databili tra Sette e Ottocento, di provenienza genovese, napoletana e siciliana. Dieci di essi sono in legno, tre in cartapesta e uno, quello siciliano, in terracotta.

Considerati animali nobili, i cavalli nel presepe erano destinati esclusivamente ai Re Magi e quindi presenti in numero di tre, mentre abbondavano tutti gli altri animali da fattoria e da cortile, come muli, pecore, capre, maiali, polli, galli ecc. Caratteristiche dei tre cavalli da presepe erano i colori e le posizioni: bianco, nero e baio (rosso bruno) per quanto riguarda i primi, mentre per le posizioni si hanno quella sulle zampe posteriori, quella al trotto e quella al passo.

Sono oggetti rarissimi da trovare, perché oltre a essere soltanto tre rispetto al numero cospicuo degli altri animali, spesso venivano lasciati ai bambini, una volta disallestito il presepe. Erano infatti da questi molto ambiti come giocattoli, venivano quindi usati e, di conseguenza, spesso rovinati, andando distrutti.

La bellezza e l’accuratezza di questi animali li rende opere d’arte. Del resto,  fra le famiglie nobili si svolgevano vere e proprie sfide per il presepe più ricco e meglio addobbato, che veniva allestito, come un “quadro vivente” di scenografica composizione, all’interno dei palazzi.

La tradizione del presepe nel nostro Paese è antica e  vi hanno lavorato grandi artisti pittori e scultori; ma anche artigiani di ogni genere, come ceroplasti, ceramisti, orefici, costruttori di strumenti musicali, intagliatori, addirittura animalisti.

Il presepe più vecchio conservato, sebbene parzialmente, si trova nella basilica romana di S. Maria Maggiore, a opera di Arnolfo di Cambio. Ma è dal Quattrocento che diventa popolare, con opere monumentali, fino alla sua massima diffusione nel XVIII secolo.

Sergio Baroni