Incontro con lo scultore Peter Porazik

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Per la mostra “Frammenti danteschi” Galleria Baroni ha ospitato la scultura in marmo “Metamorfosi” dell’artista slovacco Peter Porazik. Nell’opera si può leggere la stessa trasformazione vissuta dal Poeta nel suo viaggio dall’Inferno al Paradiso: gambe umane sporgono da una roccia – Dante seduto in una delle soste durante il passaggio nei gironi infernali – ma anziché proseguire nella parte superiore del corpo si dissolvono fra aria e roccia. La loro materia si trasmuta, alludendo al corpo umano del Poeta che nell’ultima cantica si dissolverà – questa è la sua percezione –  per entrare nella nuova dimensione, quella della contemplazione.

Abbiamo incontrato Peter Porazik alla Galleria Baroni e abbiamo colto l’occasione per conoscerlo meglio.

Quando nasce la tua passione per l’arte?

Da bambino. Avevo un nonno che disegnava benissimo e un padre architetto e quando iniziai a disegnare si aprì davanti a me una strada chiara, dalla quale non mi sono mail allontanato. Anche se la cosa buffa è che non ho preso in mano una matita fino all’età di quattro anni, nonostante gli incoraggiamenti di mio padre.

Ci racconti il tuo percorso di studi?

Ho frequentato il liceo artistico a Bratislava, dove mi sono dedicato alla pietra, materia in cui mi sono specializzato. Ricordo che non mi staccavo mai dai miei strumenti di lavoro, nemmeno di notte, li consideravo magici. Subito dopo il liceo artistico sono entrato in Accademia, sempre a Bratislava. Erano i tempi in cui, per reazione al realismo socialista, i percorsi tradizionali erano stati spazzati via in favore di un eclettico sperimentalismo contemporaneo. Ma sia io sia molti miei compagni sentivamo la mancanza di basi culturali, delle nostre radici, di una preparazione accademica al modellato. E così facemmo pressione perché venisse reintrodotta una formazione più tradizionale, senza ovviamente l’influenza politica di prima. Con nostra grande soddisfazione, questo cambiamento fu introdotto. L’ultimo anno, prima di diplomarmi, ho studiato per quattro mesi all’Accademia di Belle Arti di Varsavia, dove sono tornato dopo il diploma come assistente del rettore all’atelier di scultura. Ero stato invitato dallo stesso professore con cui avevo studiato prima di diplomarmi, Adam Myjak.

Mentre lavoravi in Accademia hai partecipato a simposi internazionali…

Sì, nello stesso anno in cui mi sono trasferito a Varsavia, il 1999, ho partecipato al III Simposio Internazionale di Scultura di Antalya, in Turchia. Precedentemente avevo partecipato a un Simposio in Austria, nel 1994, e in Romania, nel 1998. In seguito, ho partecipato ad altri simposi: in Cina (2001) e nella Repubblica Ceca (2003).  Negli stessi anni ho realizzato opere pubbliche per la Polonia, insomma avevo una carriera ben avviata, ma il lavoro in accademia mi stava un po’ stretto, non mi permetteva di sperimentare, di fare ricerca e di lavorare ai miei progetti personali. Sentivo che non sarei potuto crescere come desideravo. Così, assieme a mia moglie, anche lei scultrice, abbiamo deciso di mollare tutto e di partire per l’Italia. Una vera e propria avventura… E un nuovo inizio.

Raccontaci dell’Italia.

Abbiamo trascorso qualche anno a Roma, dove ho partecipato alla mostra collettiva “Giorni di Unione Europea”, ma il lavoro non decollava, perlomeno non come volevamo noi. In seguito ci siamo trasferiti in Sicilia, vicino a Palermo. Ho lavorato a molti arredi destinati alle chiese: la Chiesa San Pietro e la Chiesa Regina Pacis di Caltanissetta; la Chiesa Sacro Cuore di Gesù di Gela (CL), la Chiesa Santa Maria di Nazareth di San Cataldo (CL), la Basilica di San Pietro a Riposto (CT), la Chiesa Madre San Leonardo Abate di Serradifalco (CL). Statue, un fonte battesimale, trittici e dittici, arredi liturgici, sculture per portali, balaustre, pannelli, acquasantiere… in Sicilia sono molto sensibili all’arredo sacro, che tra l’altro è un filone in cui mi riconosco. Poi però mia moglie si è trasferita a Mandello del Lario, in provincia di Lecco, per motivi familiari e io, non appena ho potuto, l’ho seguita. Qui abbiamo fondato un laboratorio di arte, il Laboratorio Porazik, dove nel 2014 abbiamo organizzato un piccolo simposio di scultura locale, “Mandellarte”, che ha coinvolto i giovani del territorio, portando l’attenzione a una cava del marmo nella zona lariana, che è quella di Musso. Non è più in uso, ma è molto importante perché il suo marmo riveste tutto il Duomo di Como.

Dicono che la tua arte sia spirituale, ti riconosci in questa definizione?

In un certo senso mi ci ritrovo. La spiritualità è la matrice comune a ogni essere umano, lo vediamo anche nel viaggio della Commedia Dantesca, che è un viaggio interiore e spirituale. Non mi riconosco però in uno stile preciso e nemmeno mi interessa. Mi piace esprimermi per come mi sento in quel momento e, dato che la vita è in continuo movimento, mi esprimo in modi diversi, anche se la mia mano è ovviamente riconoscibile. L’importante per me è partire da un’idea e trovare la forma per quell’idea, il formalismo e la replicabilità non mi interessano. Mi hanno anche detto che le mie opere sono meditative. Sicuramente ho uno stile essenziale, che richiama un atteggiamento di ascolto e contemplativo, ma anche ludico e ironico. Mi piace giocare, combinare i contrasti, così come si integrano nella vita: la meditazione e la spiritualità sono serie e leggere al tempo stesso, portando a un sorriso distaccato. La spiritualità per me non è avulsa dal contesto materico, dall’ambiente circostante con cui si fonde e si trasforma: la natura, la città, la società, le culture. Mi sento in perenne ricerca e movimento, laddove movimento non significa incostanza o frammentazione, bensì trasformazione ed evoluzione, in una parola “Metamorfosi”, come la scultura esposta per la mostra “Frammenti danteschi”.

Livia Negri