Goya, riflessioni dal film

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Ho consigliato ad amici e conoscenti la visione del film Goya. Visioni di carne e sangue, che è stato in programmazione il 2 e il 3 febbraio scorsi. Per la regia di David Bickerstaff, il film costruisce lo straordinario percorso artistico di Francisco Goya con una panoramica esclusiva alla mostra Goya: the Portraits della National Gallery di Londra. Dopo averlo visto io stesso, confermo il mio consiglio: è un film di grande impatto, coinvolgente, che ci fa conoscere l’arte e l’umanità del grande artista spagnolo nel suo contesto storico, capace di assorbire il passato e di preludere alla modernità. Di impatto anche per l’altissima risoluzione delle immagini che fanno apprezzare la sua pennellata nei minimi dettagli di tratto, tecnica, luce e colori, per un percorso artistico eclettico e mai uguale a se stesso. Altre due perle sono: innanzitutto il “taccuino italiano” (visibile in occasioni eccezionali) che Goya tenne tra il 1769 e il 1771 con disegni, schizzi, annotazioni, riflessioni e perfino conteggi durante il suo soggiorno in Italia, che visitò per ritrarre dal vero le opere d’arte del nostro Paese; la seconda perla è un quadro che non esce mai dal Museo del Prado, La famiglia di Carlo IV… insomma, non mancano le emozioni per un film che rimane documentaristico. E’ interessante anche la finestra storica che si apre attraverso la lettura che ne dà l’artista stesso: ritrattista reale e pittore di corte, egli non fu impermeabile alle vicende che segnarono il suo Paese, espresse magistralmente nel ciclo delle “pitture nere”, come nei Capricci e nelle tele che raccontano la ribellione spagnola agli invasori francesi, oltre alla sensibilità dimostrata verso le tradizioni come la corrida, i duelli, la caccia.

Una riflessione molto personale che mi ha suggerito il film, dovuta anche al richiamo a Velàzquez (1599 – 1660) e al riferimento a Picasso (1881 – 1973) è che la pittura spagnola, a differenza a mio parere di quella italiana, si polarizza attorno a queste tre figure centrali – Velàzquez, Goya e Picasso – che nella loro grandezza e unicità rimangono il fulcro della storia artistica del Paese, determinandone l’evoluzione lungo un fil rouge. Anche in Italia ci sono figure con cui tutti gli artisti, in un modo o nell’altro, devono “fare i conti”, basti pensare a Giotto, a Michelangelo o a Caravaggio. Ma le personalità di spicco, con aspetti geniali e originali che ruotano attorno ai grandi maestri, sono così numerose che contribuiscono tutte assieme a dare l’impronta dell’arte italiana, come in una sorta di collegialità. I fenomeni culturali italiani non sono a mio parere identificabili con singoli personaggi in modo così netto come avviene invece in Spagna e in altri Paesi.

Sergio Baroni